LA RESILIENZA ECONOMICA IRANIANA
La forza dell’Iran risiede nel surplus commerciale, un
basso debito pubblico lordo e la relativa imponenza della sua economia
(diciassettesima a livello mondiale), che ha beneficiato degli alti prezzi del
petrolio negli ultimi anni. Con un basso debito pubblico e un sano bilancio
commerciale, l’Iran, nel frattempo, può continuare ad emettere obbligazioni e
appoggiarsi a finanziamenti esterni per soddisfare le proprie esigenze. Lo
stato è al centro dell'economia e pertanto l'emissione di titoli di stato
comporta un limitato rischio di crowding out per il settore privato. Inoltre,
la crescente incertezza geo-politica e l’aumento della domanda di petrolio,
hanno causato un rialzo dei prezzi del greggio. Ecco che l’Iran può conservare
ancora il suo slancio economico, purché mantenga un livello relativamente
stabile degli scambi di petrolio con clienti alternativi, una volta che
l'embargo dell’Unione Europea entrerà in vigore nel giugno 2012. Malgrado le
sanzioni, l’Iran ha in previsione di esportare circa l'80 per cento del suo
petrolio, così da mantenere un significativo flusso di denaro in entrata per i
prossimi mesi. Ci sono anche dei dubbi in termini di capacità e volontà da
parte dei fornitori alternativi di compensare le mancate esportazioni iraniane.
L’Iran esporta circa 2,5 miliardi di barili di petrolio al giorno, che
rappresentano circa il 70 per cento delle capacità di ricambio dei paesi OPEC. Di
conseguenza, sostituire le esportazioni iraniane significa minare ulteriormente
la stabilità, già precaria, dei mercati globali di energia. Vista l’elevata
volatilità del mercato energetico negli ultimi anni, l'Agenzia Internazionale
per l'Energia (AIE) ha già utilizzato le sue riserve strategiche in più istanze,
al fine di rinsaldare un mercato sempre più instabile. L’elevata deregolamentazione
dei mercati delle materie prime significa anche che la speculazione e l’emotività
svolgono un ruolo fondamentale nella determinazione dei prezzi del petrolio.
Con l’aggiunta di ulteriori segni di incertezza provenienti dal versante
geo-politico, la situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente. Supponendo che il
petrolio iraniano fosse totalmente embargato, la minaccia ultima consisterebbe
nel collasso totale nei mercati dell'energia e l'aumento del prezzo del greggio
a circa 250 $ al barile, con i paesi che avvierebbero un razionamento e una
corsa all’accaparramento delle forniture. Questo porterebbe non solo a soffocare
le economie più fragili nel nord, ma comprometterebbe anche la parabola
ascendente di molte economie emergenti, che già stanno lottando contro il calo della
domanda in Europa e in America. Il petrolio iraniano è semplicemente troppo
indispensabile alla stabilità economica globale e non esistono alternative
ragionevoli nel prossimo futuro. Nessuna c’è da meravigliarsi quindi che Turchia,
India e Cina continueranno a comprare petrolio iraniano, mentre Corea e
Giappone cercheranno disperatamente di convincere gli Stati Uniti a concedere
loro esenzioni e deroghe per continuare le loro importazioni dall’Iran. Come
rappresaglia per le misure della Unione Europea, un Iran relativamente
fiducioso già ha minacciato di anticipare l'embargo tagliando gli
approvvigionamenti all’Europa. I migliori clienti europei, dall'Italia alla
Grecia fino alla Spagna, sono le economie più fragili del continente, così ogni
misura preventiva iraniana costituirebbe un colpo enorme per le economie
dell'UE. Un’iniziativa del genere potrebbe ulteriormente erodere la fiducia nel
mercato affossando i rating di credito, il che, a sua volta, farebbe aumentare gli
interessi passivi. Colpendo l’Iran, l’Europa in realtà sta minando la propria
stabilità. In definitiva, le sanzioni non saranno sufficienti a paralizzare il paese.
Un’iniziativa del genere è controproducente e destinata a fallire. Le sanzioni,
nel migliore dei casi, potrebbero influenzare intorno al 10 per cento
dell'economia dell'Iran, ma il paese avrà tutti i fondi necessari per continuare
i suoi programmi nucleari. In realtà, il governo ha proposto un bilancio di 443
miliardi di dollari per il 2012, e prevede di raddoppiare le spese militari nei
prossimi mesi. Pertanto, le sanzioni servono semplicemente a danneggiare il
popolo iraniano e a fomentare ulteriore diffidenza verso l’occidente.
RIAPERTURA DEI COLLOQUI
Con tante frizioni ad inasprire i legami tra l'Iran e
l'Occidente, l'onere della riapertura dei colloqui è stato posto sulle spalle
di paesi come Turchia e Russia, che hanno mantenuto forti legami con il loro vicino
persiano. Russia e Turchia hanno un interesse diretto nella stabilità
dell'Iran, perché qualsiasi conflitto tra l'Occidente e lo stato arabo potrebbe
compromettere la sicurezza regionale e avere enormi effetti negativi sui legami
commerciali con Teheran. Mentre la Russia detesta qualsiasi avventura militare
occidentale vicino ai suoi confini, l’economia in grande crescita della Turchia
è altamente dipendente dalle esportazioni di energia iraniana. Qualsiasi
conflitto in Iran potrebbe minare la sicurezza nazionale della Turchia e
spegnere tutte le sue speranze di entrare a fare parte dell’Unione Europea. Quindi
la posta in gioco è abbastanza alto per entrambe le nazioni, interessate a
canalizzare le crescenti tensioni in direzione di una risoluzione diplomatica. Dal
momento della chiusura dell'ambasciata britannica a Tehran, i canali di
comunicazione iraniani con l’occidente si sono notevolmente ridotti, così da rendere
Mosca e Ankara l'ultimo significativo ponte tra l'Iran e l'Occidente. Da parte
sua, l’Iran sembra essere interessato a sedersi attorno a un tavolo, ed invia i
suoi alti funzionari regolarmente a Mosca ed Ankara per preparare il terreno
alle negoziazioni. L'economia iraniana sta accusando il colpo e Teheran non
sembra interessata ad impegnarsi in qualsiasi confronto militare, preferendo riavviare
nuovamente colloqui sostanziali. I pragmatisti stanno attivamente spingendo per
una soluzione diplomatica. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad e il ministro
degli esteri Ali Akbar Salehi, hanno recentemente ribadito l’interesse del loro
paese a riaprire i colloqui con il cosiddetto (P5 + 1), composto da Germania e
cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC).
Per dimostrare la sua sincerità, il mese scorso, la leadership iraniana ha
accolto una visita tecnica dei rappresentanti dell'AIEA. Entrambe le parti
hanno definito la visita come molto costruttiva, e stabilito un accordo per effettuare
il più presto possibile un’ulteriore visita. L’Iran sta anche ultimando il
contenuto della risposta alla richiesta dell'Unione Europea per i colloqui sulla
questione nucleare, con Istanbul come sito probabile per ospitare i negoziati. Tuttavia,
l'Iran ha respinto in anticipo qualsiasi richiesta di sospensione di
arricchimento nucleare, ma c'è un'alta probabilità che aderisca ad una proposta
“passo passo” proveniente dalla Russia, secondo la quale in cambio della
trasparenza dell’Iran in ogni fase dei negoziati, ci sarà un’attenuazione delle
sanzioni.
L’OCCIDENTE DOVREBBE RIPENSARE LA PROPRIA
STRATEGIA
L'alternativa strategica alla diplomazia è la guerra,
perché le sanzioni sono solo una manovra tattica per raggiungere fini
strategici. Tuttavia, le sanzioni, soprattutto nel caso dell'Iran, non fanno
altro che punire la maggior parte della popolazione, innocente, amareggiano la
società, e incoraggiano i “falchi” a scapito dei “pragmatisti”. Tecnicamente,
l'economia dell'Iran è semplicemente troppo grande da paralizzare, senza
rischiare un terremoto energetico a livello globale e il complesso nucleare
iraniano è troppo avanzato per smantellarlo. L’Iran sarà in grado di sopportare
le pesanti sanzioni, perché il paese ha ancora miliardi di dollari per sostenere
le proprie forze armate e avanzare nel suo programma nucleare. Pertanto, è
fondamentale per l'Occidente dare alla diplomazia una possibilità e ricalibrare
il tenore delle sanzioni. La guerra è un'alternativa impensabile, perché
qualsiasi conflitto tra una potenza regionale come l'Iran e l'Occidente
potrebbe innescare una crisi internazionale. L'economia mondiale è troppo
fragile per sopportare un urto tanto forte, ed è nell'interesse della società
internazionale trovare una soluzione pacifica e diplomatica al programma
nucleare iraniano, per timore di incorrere in una recessione economica globale
ancora più letale. I negoziati non potranno risolvere le grandi differenze
ideologiche e strategiche, ma sono un passo cruciale e necessario per costruire
un clima di fiducia e superare il profondo senso di diffidenza reciproca che
divide le parti. Se l'Occidente avesse accolto con favore la Dichiarazione di
Teheran del 2010, saremmo ora nel secondo anno di negoziati atti a sviluppare
la fiducia e il dialogo tra le parti. Eppure c'è ancora speranza. I “pragmatici”
dell'Iran percepiscono l’urgenza della questione, mentre gli interlocutori come
la Turchia – per nulla scoraggiati dallo snobismo dell'Occidente verso la proposta
turco-brasiliana sul programma nucleare iraniano - cercano instancabilmente di evitare
una catastrofe. Lo status quo è semplicemente insostenibile. L’Iran ha mostrato
il suo interesse alla riapertura dei colloqui, Turchia e Russia hanno sostenuto
tale mossa, ora la palla passa nelle mani dell’Occidente. Speriamo che la
ragione ancora una volta prevalga sulla passione.
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